Calendimaggio” : nell’antichità latina indicava il primo giorno di maggio, ovvero la festa del risveglio della natura ancora ricordata, secondo le usanze locali, in tutto il folclore europeo. In molte località è testimoniato l’uso (spiegato per lo più come sopravvivenza di culti agrari e di riti magici della fecondità vegetale, animale e umana) di ‘piantare il maio’, ossia appendere un ramo verde innanzi alla casa delle fanciulle a cui si voleva rendere omaggio o sulla piazza del villaggio; attorno al maio si intrecciavano danze o si recitavano i ‘maggi’, brevi rappresentazioni teatrali. Da ciò deriva la celebrazione il 1° maggio come festa dei lavoratori.


Calende” nel calendario romano era il primo giorno di ogni mese e dunque calendimarzo, ad esempio, indicava il primo giorno di marzo. Un rito arcaico e affascinante che resiste fiero al trascorrere del tempo è proprio quello del “Calendimaggio” che in molti borghi della Sabina, rappresenta la ricorrenza di una festa tipica della tradizione contadina che è ancora fortemente radicata nei borghi più antichi della Valle del Turano. L’appuntamento torna puntuale ogni primo di maggio anche nel borgo di San Lorenzo. E in effetti è proprio il ritorno alla vita dopo il rigido inverno a rappresentare l’allegoria del “Calennemaiu”: Rigorosamente digiuni, prima del pranzo, la tradizione richiede che gli abitanti del posto immergano frammenti di noci in un bicchiere colmo di vino pronunciando in gergo dialettale il rito propiziatorio: “Oi è San Filippu e Giacomo; se fa a callennemaiu; se moro vado a funnu se no prestu retorno“ ; se le noci resteranno a galla, quella in arrivo sarà un’ottima stagione per il raccolto oltre che per lo stato di salute personale.

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