Don Giovanni Felli (1885 – 1973)
Immagine su concessione di Gabriella Giuseppini – olio su tela di Alberto Giuseppini

I più giovani non possono certamente ricordarlo eppure possono inconsapevolmente scorgere alcuni elementi, passeggiando per le vie del paese, che costituiscono indizi della sua esistenza passata nel nostro paese. la casa, ora di proprietà privata, dove visse al casarino a San Lorenzo, che fu un tempo di proprietà della Curia diocesana di Rieti; la lapide con cui gli viene attribuito il nome della piazzetta ed il campanile della chiesa principale che, così come appare oggi, fu fatto realizzare proprio da Don Giovanni in occasione di una ristrutturazione della chiesa, eseguita sempre dietro suo incarico. La struttura del campanile originario, già allora inglobata nella navata della chiesa, si presentava ad una sola arcata e quindi appariva piu’ basso di quello attuale. Fu nel 1935 circa che Don Giovanni Felli, originario di Collalto e parroco di San Lorenzo, dopo essere riuscito a procurarsi i fondi necessari per i lavori con la vendita del legname di un bosco ceduo, all’epoca anch’esso di proprietà della Curia diocesana di Rieti, riuscì a commissionare il restauro della chiesa. Fu proprio in quella circostanza che il nostro parroco fece includere nei lavori anche la realizzazione del livello superiore del campanile, al fine di conferirgli più slancio e renderlo più visibile in lontananza, per dare più rilievo al simbolo religioso della propria comunità.
Si narra che, orgoglioso del proprio progetto, seguì costantemente e personalmente i lavori di ristrutturazione dando anche disposizioni precise sullo smontaggio delle campane per farle appendere ad un albero in modo da renderle utilizzabili in attesa di essere poi ricollocate sul nuovo campanile. I nostri nonni raccontavano inoltre che Don Giovanni, spinto da un forte senso di attaccamento alla propria chiesa parrocchiale, si recava spesso nei punti piu’ alti dei colli vicini per osservare l’avanzamento dei lavori di realizzazione del nuovo campanile e poter riscontrare eventuali vizi o difetti nella realizzazione dell’opera. I lavori furono diretti e curati dal capomastro di nome Pietro, detto “Pietruccio” per la sua evidente bassa statura. ”Pietruccio” fu coadiuvato dal figlio “Attilio” che realizzò artigianalmente due angeli in gesso da posizionare sulle due semicolonne poste ai lati dell’altare che, a quei tempi, era poggiato sulla parete dell’abside. Era infatti consuetudine, prima della riforma della liturgia secondo il Concilio Vaticano II del 1963, che il prete, nel ruolo di intermediario tra Dio ed i fedeli, celebrasse la messa rivolto verso il tabernacolo con le spalle ai fedeli ed interamente in latino. Il sacerdote, per lunghi tratti recitava da solo il messale e tra i fedeli regnava il silenzio. Anche il “Padre Nostro” era recitato solo dal prete e la comunione si riceveva in ginocchio. Era sicuramente una liturgia che trasmetteva il senso del sacro e del mistero ma si correva il rischio che i fedeli di fatto distratti non seguissero e che si sentissero solo le donne che finivano per recitare il rosario. Fu a partire dunque dalla riforma liturgica del 1963 che il clero iniziò a comprendere che l’altare doveva essere condiviso con i fedeli consentendo loro di entrare nella parola di Dio passando dalla religione alla fede anche con l’utilizzo della sola lingua nazionale per una maggiore comprensione. Fu dunque dopo un lento processo evolutivo dei riti religiosi avviato nel lontano 1962 che il 7 marzo 1965 papa Paolo VI celebrò la prima messa interamente in lingua italiana. Fu proprio dopo il 1963 che la nostra chiesa parrocchiale fu ristrutturata nuovamente al suo interno per consentire il nuovo posizionamento dell’altare al centro dello spazio liturgico da condividere con i fedeli attraverso un presbiterio aperto ottenuto con l’eliminazione degli elementi divisori di delimitazione costituiti precedentemente da balaustre in ferro. Si raccontava che in quell’occasione i restauri furono curati da una suora di Collalto, perche’ Don giovanni, il parroco, era troppo vecchio ormai. Fu proprio in quell’occasione e in quelle circostanze che si perse traccia dei  due angioletti  realizzati nel 1935 dall’artigiano “Attilio”. Sebbene per oltre 25 anni i due angioletti avessero custodito l’altare dall’alto delle due semicolonne laterali, purtropo oggi di loro non vi è più traccia e restano le due semicolonne poggiate sulla parete dell’abside con capitelli ormai sguarniti. Forse qualcuno di noi, senza essserne consapeole, potrebbe conservare delle vecchie fotografie d’epoca in cui si potrebbero notare i due angioletti sovrastare l’altare originario.

Tornando ad analizzare la figura umana di Don Giovanni, potremmo descriverla probabilmente come una persona eccentrica in quanto all’avanguardia per i suoi tempi, sicuramente di capacità fuori dal comune e di grande cultura. Dietro la sua semplicità ed umiltà  si celava una personalità di grande valore umano e nobiltà d’animo, sempre con l’interesse per le novità  del progresso e con lo sguardo rivolto alle necessità del prossimo. Molti lo ricordano per aver insegnato a tanti ragazzi a leggere e scrivere ed ai più studiosi a conoscere la lingua latina. Don Giovanni aveva ben compreso l’importanza della conoscenza e della cultura come strumento necessario a ciascun individuo per prendere consapevolezza della propria identità e del proprio ruolo nella società al fine di saper tutelare la propria libertà e far valere i popri diritti per non essere prevaricato ingiustamente. La cultura serve infatti ad aprire gli orizzonti ai propri pensieri ed alle proprie idee per acquisire coscienza della propria dignità sociale e per saper reagire alle offese ed alle limitazioni della propria libertà.

                Don Giovanni, Spinto dalle proprie conoscenze culturali, finì per coltivare innumerevoli interessi tra cui quello per la caccia e per la sua motocicletta. Tra gli aneddoti curiosi si ricorda anche quello delle due vasche rettangolari che aveva fatto costruire nel giardino della sua abitazione, al casarino, per dedicarsi anche all’allevamento di trote. Quest’ultimo progetto però, sembra che non fu portato a termine rimanendo incompiuto. Noi che all’epoca eravamo poco più che bambini, lo ricordiamo perchè ci donava sempre delle banane a merenda e con quel rituale quotidinano ci diede opportunità di conoscere un frutto esotico altrimenti sconosciuto per la nostra località montana. Lo ricordiamo anche per averci permesso di trascorrere, delle serate in allegra compagnia attorno al focolare della sua dimora, insieme a lui ed i nostri padri che tra i vari dialoghi e racconti sorseggiavano del buon vino o cuocevano delle buonissime patate sotto la brace per poi farcele gustare insieme a loro.

                Don Giovanni era dunque una persona gioviale, generosa, amante della compagnia e con la quale era piacevole stare insieme. Era una persona di particolare intelligenza, e come tale a volte trascurava la cura della propria persona ma sicuramente non trascurava tutte le altre persone del paese con le quali era molto generoso. In altre parole  era l’elemento aggregante del paese, oltre che dal punto di vista spirituale anche da un punto di vista prettamente sociale ed umano. Pur essendo originario di Collalto fu parroco esclusivo di San Lorenzo dove visse fino al pensionamento, quando ormai avendo raggiunto un’età avanzata  e non potendo più vivere da solo a causa della sua vecchiaia fu ospitato presso la Curia Vescovile della Diocesi di Rieti. Il parroco successivo che lo sostituì fu Don Guido Passeri; questi però era già parroco di Collegiove e quindi prese sotto la propria cura pastorale anche la nostra parrocchia. Le spoglie di Don Gioanni trovano ora riposo a Collalto. Di lui rimangono oltre che il ricordo indelebile anche molti insegnamenti preziosi.